POINTS DE VUE - Episodio 7
A PROPOSITO DI RIPETIZIONI
“Credo che fosse la grande immagine con l’incidente, sulla prima pagina del giornale. Stavo dipingendo anche le Marilyn. Ho realizzato che quello che stavo facendo doveva essere la Morte. Era un giorno di vacanza e ogni volta che accendevi la radio dicevano qualcosa come ‘4 milioni stanno per morire’. Questo fu l’inizio”.
Queste dichiarazioni, che alludono ad un’epoca, per certi versi, simile alla nostra, furono rilasciate da Andy Warhol nell’intervista del 1963.
Figura eclettica su cui possono essere proiettate molto interpretazioni, Warhol era sicuramente interessato ai soggetti di massa, fossero prodotti dai resoconti delle morte catastrofiche o celebrità morte in circostanze tragiche (Marylin Monroe, Elvis Presley, Jackie Kennedi dopo l’uccisione del marito).
C’è chi sostiene che Warhol si identificasse con i soggetti della sua arte e chi lo caratterizza per “lo stile di assoluta indifferenza”; sicuramente era una persona singolare: guardate l’intervista rilasciata nel 1966- la sua posizione rispetto all’intervistatore e alle immagini di fondo.
Uno dei tratti significativi del suo lavoro è stato la ripetizione delle immagini. Ripetizione che celava una traumaticità moltiplicata dal processo di ripetizione (pensiamo alla foto della sedia elettrica). Oppure che poteva funzionare come svuotamento di significato: pensiamo ai barattoli di zuppa Campbell (che, invero, avevano avuto per lui un significato importante -le aveva odiate da bambino e da adulto).
La ripetizione è messa in scena anche dalla performance Bonjour di Ragnar Kajartansoon in mostra al Mambo fino al 3 maggio, di cui qui sono visibili le registrazioni dello streaming.
Nella performance gli attori ripetono per ore una scena che dura cinque minuti (la registrazione è di quasi due ore).
Quando l’avevo vista all’opening del 22 gennaio us., mi ero chiesta come potessero reggere gli attori quella ripetizione, salvo, poi, interrogarmi su quanto anche noi fossimo parte di quella ripetizione nella nostra vita quotidiana.
Mai interrogativo fu più profetico.
L’emergenza da coronavirus ci ha costretto ad una ripetizione continua delle nostre azioni, tanto più avvertita da chi, come me, è rinchiuso dentro le mura domestiche.
Se, dunque, anche noi siamo inequivocabilmente coinvolti da quella ripetizione, cosa possiamo raccogliere da quest’esperienza?
La sfida, penso, ad impedire che quella ripetizione finisca per svuotare di significato le nostre azioni.
POINTS DE VUE - Episode 7
ABOUT REPETITIONS
“I think it was the big picture of the accident, on the front page of the newspaper. I was also painting the Marilyns. I realized that what I was doing was going to be the death. It was a day off and every time the radio was turned on, it said something like ‘4 million are going to die’. This was the beginning.”
These statements, which speaks about a time, in some ways, like ours, were released by Andy Warhol in the interview held in 1963.
An eclectic person, on whom many assumptions can be made, Warhol was certainly interested in pop culture, whether it was on reports of catastrophic deaths or celebrities who died in shocking ways (Marylin Monroe, Elvis Presley, Jackie Kennedi after the assassination of her husband).
Someone claims that Warhol empathizes with the people of his art, someone else claims his style of absolute indifference; surely he was a peculiar person: let’s look at the interview released in 1966, where he sits and the relationship with the interviewer and the background images.
One of the main features of his work was the repetition of images.
Repetition that concealed a drama increased by the repetition process (let’s think about the photo of the electric chair). Or that it could work as deprivation of meaning; let’s think about the Campell’s soup cans (which had had a huge significance for him - he hated them when he was a child as well as an adult).
The repetition is also staged by Ragnar Kajartansoon’s Bonjour performance, hosted at the Mambo until the 3rd May, whose streaming recordings can be watched at this here.
In this performance, the actors repeat for hours a plot which lasts five minutes (the recording has been made for almost two hours).
When I saw it at the opening on the 22nd January, I wondered how the actors could deal with this repetition and, at the same time, I wondered how we are part of that repetition in our daily lives.
Never the question was more predictive.
The coronavirus emergency forced us to repeat our activities, especially for those, who, like me, are locked up inside their home.
As we are definitely involved in this repetition, what can we gain from this experience?
The challenge -I think- to stop the deprivation of meaning to our activities.