Se davanti alla parola Woodstock non risulterà faticoso richiamare alla memoria il lunghissimo concerto che contribuì a rendere leggendaria l’estate del 1969, forse lo sarà un po’ di più ricordare che nel terzo giorno del festival, dopo Santana, Janis Joplin, The Who e Joe Cocker, si esibì il quartetto inglese dei Ten Years After; la band, per quanto esplosiva, focosa, chiassosa e precisissima, energica e molto valida sia dal punto di vista tecnico che da quello dei contenuti artistici, finì purtroppo ben presto nel dimenticatoio e nella lunga lista che annovera quei musicisti ricordati per essere stati sempre “secondi a”, mai in prima linea.
Come riscattare allora la band e il suo contributo prezioso alla storia del rock se non proponendo e riascoltando uno dei suoi album, giunto quest'anno al cinquantesimo anniversario?
Risale infatti al 1969 il robusto ed eterogeneo LP Ssssh, pubblicato dalla neonata etichetta indipendente britannica Chrysalis Records, la stessa di Jethro Tull, Procol Harum e Gentle Giant.
Sebbene l’album conti solamente otto tracce per una durata complessiva di appena mezz’ora, lo spessore e la varietà del materiale proposto non fanno percepire carenze. Al contrario, la sensazione che ogni intervento, ogni sonorità, ogni struttura venga presentata con consapevolezza e attenzione contribuisce a sigillare l’ascolto su un impianto sonoro stabile e potente.
Per quanto riguarda lo stile, sarebbe troppo riduttivo indirizzare Ssssh tra le fauci del rock e delle veemenze artistiche sessantottine, poiché le influenze portate a galla dall’ascolto non sono poche e ancor meno trascurabili: non manca l’impetuosità che pochi mesi prima aveva permesso ai Led Zeppelin di affiancare il termine “hard” al rock ruvido e vigoroso del loro album d’esordio; non manca il timbro del jazz britannico e dell’R&B filtrato dai fumi di Londra dopo che la guerra aveva introdotto sull’isola militari afroamericani; non manca il richiamo al vecchio folk e al blues di John Lee Hooker, Muddy Waters e Willie Dixon, richiamo pressoché costante e costantemente rinnegato, tanto da rendere la musica dei Ten Years After straordinariamente anticipatoria della rivoluzione artistica che qualche anno dopo avrebbe invaso l’Occidente: il punk.
Ecco dunque Bad Scene, il brano che apre il disco, e che nel rifiuto di linee melodiche e di un andamento uniforme trova la scintilla di quella musica ribelle e diretta che rozza nei modi, nei testi e nel volume, di lì a poco avrebbe innalzato ad icone punk mondiali i connazionali Clash e Sex Pistols. E scusate se è poco.
C.