Avere quindici anni, partecipare al Festival di Sanremo, piazzarsi al quinto posto nella doppia esecuzione con i Rokes, vedere il proprio singolo rimanere al primo posto in classifica per cinque settimane ed essere scelti dalla RCA Italiana per incidere un intero album. Quale giorno migliore dunque di questo Ferragosto infuocato per ripercorrere l’esordio rovente di Nada?
Nel corso degli anni Sessanta la musica italiana si è caratterizzata per un generale atteggiamento di imitazione dei modelli e delle sonorità pop e rock del mondo anglofono - Stati Uniti e Inghilterra su tutti. Il numero di esempi è cospicuo e altamente indicativo di quell’effetto centripeto che radio, televisione e cinema stavano creando in tutto l’Occidente intorno alla superpotenza americana. Si pensi ad esempio alla quantità di cover, traduzioni e riferimenti, talvolta anche smaccati, che artisti italiani hanno rivolto a Beatles, Bob Dylan, Mamas and Papas, Bee Gees, Cher, Neil Diamond e molti altri. La stessa Nada nel suo omonimo album d’esordio del 1969 eseguiva una cover della inconfondibile Yellow Submarine, tradotta da Mogol per l’occasione e punta di diamante di un album che poggiava buona parte del proprio peso su rivisitazioni italiane di brani esteri.
E al Festival di Sanremo Nada approdò, è doveroso ricordarlo, a quindici anni con Ma che freddo fa, una canzone che di richiami alla musica americana ne conteneva non pochi: un attacco di chitarra rozzo nei contorni apre gli occhi su un paesaggio molto americano e un po' tossico: John Travolta che scende da una Mustang decappottabile ciondolando sornione o Uma Thurman che liscia il fodero della sua katana, tagliente al pari del suo sguardo. Per i primi quindici secondi potremmo trovarci immersi in un film di Quentin Tarantino, senza soffrire italianità o debolezze nella struttura dell’incipit, aspettando che gli eventi precipitino e amplifichino l’America e la tossicità dello scenario iniziale. Ma non appena entra la voce, eccoci scaraventati tra i fiori del Festival di Sanremo e tra le braccia di una Nada che canta l’amore e il freddo della solitudine. Un brano in pieno stile anni Sessanta insomma, in cui le questioni amorose incontrano il suono della musica surf di Dick Dale, appoggiando una melodia tutta italiana su un’orchestrazione dal profilo guardingo, vagamente alla 007.
Gli anni Sessanta americani sono dunque il background dal quale arrangiatori e produttori italiani hanno rubacchiato a mani basse per costruire Ma che freddo fa, conferendogli una dimensione cinematografica smaliziata, che pone il brano fuori dal tempo in maniera indelebile ed efficace. Missione compiuta: classifiche scalate con tanto di marchio alla Tarantino e sonorità che restano scottanti a cinquant’anni di distanza. Ma che caldo fa…
C. G.