ARITMIE episodio 4
Una fotografia, per quanto oggettiva si proponga e serbi in sé l'intento di una rappresentazione insindacabile della realtà, tradisce sempre un punto di vista. È proprio quel punto di vista che infine ce la fa apprezzare e ricordare. L'album Ballate per Uomini e Bestie è un susseguirsi di piccoli scatti che delineano un quadro medievale, torbido e oscuro. Uno scatto alla volta ci accorgiamo che tra le epidemie pestifere e gli intrighi di potere si nascondono tutta una serie di massicce questioni odierne. È qui che si tradisce il punto di vista: stiamo parlando di medioevo, ma un medioevo all'indicativo presente. Sia a livello poetico che musicale, queste istantanee tendono a contrasti netti tra luce e buio, bene e male, ritmo e melodia e descrivono in maniera inequivocabile quello che già anche Igor Macchia e gli Amarcord avevano previsto con l'album Nuovo Medioevo. Epidemie, fondamentalismi, estinzione, danze macabre, Gesù Cristo fashion, prostitute, inquisizioni, animali mitologici, tecnologie indomabili, social network e corruzione: La Peste.
L'album Ballate per Uomini e Bestie, che a pochi istanti dalla sua uscita ha già vinto il premio Tenco e si è distinto come una futura pietra miliare, ci porta in viaggio tra tanti scenari. Musicalmente sempre più ardito, ritroviamo il Capossela di Marajà e di Brucia Troia come quello di Ovunque Proteggi; troviamo archi, strumenti antichi e armonie rinascimentali convivere con beat elettronici e chitarre elettriche. La tavolozza di timbri e sfumature della voce di Vinicio è sempre riconoscibile e declinata senza sconti a partire dai tempi lenti e malinconici di qualche ballata, fino alle turbolenze del rock & roll, dall'avanguardia jazzistica fino alla trap. Questo mix perfettamente bilanciato di elementi estremamente diversi rende il bestiario di Capossela un'opera apolide che con furia ed ironia riduce in pezzetti qualsiasi campanilismo, fanatismo o pensiero unico. Tra le bestie, partendo dall'Uro, animale estinto, passando per il calderone di un porco, una giraffa abbattuta, un orso e la storiella dei musicanti di Brema si arriva a ad una serie di bestie umane: sant'Antonio, Gesù Cristo e i personaggi disperati di Oscar Wilde o John Keats. Infine un inno alla lentezza, La Lumaca, ci accompagna dolcemente nel silenzio della conclusione dell'album.
Se i maestri di Vinicio sono chiari sullo sfondo delle sue ispirazioni, risulta in questo disco una personalità che morde violenta le angosce del presente. Tom Waits e Paolo Conte tossiscono nelle retrovie dei suoi ascolti, ma in primo piano abbiamo un Capossela col dito puntato. Un dito puntato contro il torbido oscurantismo nel quale siamo infognati. I molteplici volti di questo imbruttimento cosmico sono sviscerati rifuggendo semplificazioni e banalizzazioni, la critica è netta ed insindacabile. Come in un romanzo di Lovecraft, ci rendiamo conto che il nemico è tutto intorno a noi in mutevoli forme, talmente mutevoli da ritrovarselo dentro. Non saremo noi stessi il nostro nemico?
G.