ARITMIE episodio 32

Surnatural Orchestra

L'ormai consolidato sistema pseudo-simbiotico tra arte e mercato si è spesso incarnato nel contrapporsi di due fazioni agli antipodi: da un lato la totale adesione a delle etichette di vendibilità, dall'altro un integrale rifiuto di essere etichettabili. L'ensemble francese Surnatural Orchestra si toglie da questa antica impasse cercando un percorso obliquo: più che spogliarsi di tutte le etichette, qui il tentativo è di non escluderne nessuna.

Questa attitudine potrebbe risultare presuntuosa o di difficile riuscita e rischia di incappare in una tuttologia dilettantistica; proviamo però a pensare alla musica del gruppo come ad un forsennato viaggio fisico, mentale, temporale, spaziale, tra le culture presenti, passate e future e tutto avrà senso. Lungo i solchi dell'album Ronde, sullo sfondo di un immaginario bandistico un po' fanfarone, la band disillude in positivo ogni aspettativa e sviluppa ogni composizione su pannelli narrativi davvero sorprendenti: da sinuose curve ellingtoniane ad incastri ritmici modulari direttamente sottratti alla scena chicagoana dell'AACM tutto condito con personalità ed ironia.

 

Il processo creativo e compositivo dichiara in qualche modo guerra al capitalismo mercificatore divenendo esso stesso la questione centrale dell'arte, senza mirare alla replicabilità di un prodotto, di una forma o di uno standard. Potremmo immaginare in parallelo uno chef che decida di abbandonare la strada della ricetta precostituita in favore di una più etica e consapevole ricomposizione degli ingredienti in sé. Così le preoccupazioni relative a convenzioni, innovazioni e al gusto finale rimangono in secondo piano, quasi delle chimere. Il risultato è dato proprio dall'eliminazione dell'aspettativa di raggiungerlo. Così Surnatural Orchestra agglomera tutti gli ingredienti con consapevolezza lungo una sottile rete di evoluzioni cangianti il cui divenire risulta limpido ed inaspettato ad ogni passo.

 

Parigi di notte: questa è la possibile partenza che con Zmerisch ci lancia in un viaggio lungo tanto il tempo del brano, quanto quello del disco intero. Da qui ci muoviamo su linee sgangherate dal klezmer al free jazz, dal medioevo al futuro, dalla terra a Marte. In questo viaggio tra bar, astronavi, barche a vela e giungle cittadine, incontriamo tra le ombre dei lampioni qualche personaggio che sembra uscito da un film di Jim Jarmusch e che cerca di barcamenarsi nel flusso. Spaziando tra paesaggi, scenari ed ingredienti scorgiamo qui e là idiomi lontani, giusto per il tempo di rendercene conto, di constatarli e di lasciarli fuggire: la furia dei Lounge Lizard, gli arzigogoli di Don Byron, le pentole infernali del Collectif Arfi, le planate armoniche di Marco Barroso, i disegni impressionisti di Herry Threadgill, la gestualità di Butch Morris e le linee cubiste di EMIR di Barre Phillips. Un bicchiere di Porto, una manciata di spezie e il viaggio è ancora molto lungo.

 

G.