ARITMIE episodio 8
Per questo episodio di Aritmie Caterina e Giacomo hanno incontrato ed intervistato Silvio Zalambani, sassofonista ed Artista Endorser D'Addario.
Potete continuare a seguirlo sulle sue pagine social e sul suo sito:
www.silviozalambani.com
Ciao Silvio, abbiamo pensato di dividere l'intervista in tre macrosezioni: la prima rivolta al passato, alla tua formazione, alle tue ispirazioni e provenienze. La seconda incentrata sul presente e sui tuoi attuali progetti e per quanto riguarda la terza ti chiederemo di darci qualche anticipazione sui lavori in cantiere.
Iniziamo quindi dal tuo passato:
Ho avuto una lunghissima fase di studio che mi ha portato a conseguire una serie di diplomi in conservatorio che non sto ad elencare. Contemporaneamente agli studi classici, ho sempre seguito l'interesse anche per altre musiche, come quella afroamericana e più in generale per la musica improvvisata, perciò ho sempre avuto una visione piuttosto ampia e diciamo poliedrica. Dopodiché ha fatto seguito una lunga fase di apprendistato orchestrale di vario genere. Il mio lato artistico ha avuto sfogo solo verso i trent'anni, quando ho ideato e creato il mio primo progetto musicale chiamato Tango Tres, nel 1997.
In realtà, avevo iniziato già da qualche anno ad avvicinarmi alle prime forme musicali sudamericane, partendo in modo del tutto casuale proprio dal tango, o meglio da Astor Piazzolla, mentre ero ancora allievo di sassofono al Conservatorio di Rovigo. Un pianista faentino, compagno di studi nello stesso conservatorio, mi propose di eseguire insieme a lui alcuni brani al saggio di fine anno, proprio di Piazzolla, autore di cui a quei tempi ignoravo l'esistenza. Quando seppi che si trattava di un autore di tango argentino, il mio rifiuto fu immediato e netto. Venendo da sei anni di esperienza come orchestrale di liscio, quella parola mi ricordava un trascorso musicale piuttosto traumatico col quale avevo chiuso definitivamente. Ignoravo ovviamente che il tango argentino non avesse nulla a che vedere coi tanghi eseguiti negli ambienti delle balere.
Fu proprio l'insistenza di quel pianista, che pretese di farmi ascoltare in ogni caso i brani in questione, a farmi scoprire un mondo musicale che ignoravo, scintilla di quella passione che sarebbe poi esplosa a breve dentro di me. Come spesso accade anche per altri aspetti della vita, la scoperta di Piazzolla e del tango argentino fu un evento del tutto casuale. Da lì sono poi andato a ritroso alla ricerca dell'origine della musica di Astor e di tutto il genere tango in modo sempre più approfondito. Con una passione vera non superficiale ho investigato e studiato fin dentro alla materia. Piazzolla insomma era solo la punta di un iceberg che mi celava una base molto più ampia e a sua volta interessantissima.
Sempre in quegli anni, nel 1994, conobbi la persona che divenne uno dei miei più cari amici, nonché figura cardine nelle mie ricerche musicali: Rubén Costanzo, un argentino all'epoca appena emigrato in Italia. Rubén è un appassionato ricercatore e collezionista di tutto ciò che riguarda la cultura del suo Paese e ovviamente anche del tango. Grazie a lui ho avuto la possibilità di accedere a fonti d'informazione altrimenti inaccessibili.
Nel 1996 ho poi fatto il mio primo viaggio in America Latina. Fu davvero curioso, programmai di andare a Buenos Aires con Rubén e invece, per motivi imprevisti, partii per Cuba con altri. Anche in questo caso, in modo del tutto casuale, nel viaggio cubano mi si rivelarono nuove scoperte musicali inaspettate e affinità con altre musiche sudamericane che non immaginavo affatto, soprattutto per quel che riguarda i ritmi, gli stessi da Cuba fin giù alla Patagonia.
Il viaggio con Rubén a Buenos Aires fu solo rimandato all'anno successivo. Lì iniziai davvero a capire cosa significasse il genere Tango con la T maiuscola: non è solo una musica, riguarda tutte le forme d'arte e più in generale è il modo di vivere di un certo tipo di abitanti della città sul Rio de la Plata. Ecco quindi la base dell'iceberg da cui emergeva Piazzolla. Da lì in avanti per me è stato un accelerare di continue scoperte, una valanga che non si è più arrestata.
Il Brasile quando arriva?
Il Brasile è arrivato nel 2001, anche quello in modo del tutto casuale e inaspettato. È accaduto attraverso una collega pianista italiana che in quegli anni era docente alla scuola di musica di Faenza, così come me. Mi propose di andare a fare dei concerti di musica classica in duo (sax-pianoforte) in Brasile, incuriosita forse dal mio interesse verso il sud America.
In realtà io della musica brasiliana non sapevo praticamente nulla, le stavo girando intorno da un po' ma senza prestarle attenzione, fino a quel momento. Siamo poi andati a suonare in Brasile nel 2002 e da lì si sono sviluppate altre relazioni e collaborazioni musicali. In quel mio primo viaggio brasiliano rimasi là un mese. Finiti i concerti con la pianista italiana, rimasi a suonare con musicisti brasiliani imparando sul campo la loro musica e la loro lingua portoghese. Ho scoperto tutta una serie di musicisti fantastici che mi hanno introdotto nel variegato mondo musicale che è la musica brasiliana. Uno di questi musicisti è stato il pianista Mario Féres che allora suonava con Paulinho Jobim, figlio del grande Antonio Carlos Jobim. Mario è stato anche uno dei trascrittori del vasto repertorio di Jobim, incluso nell'opera omnia di cinque volumi Cancioneiro Jobim.
Suonando con Mario ho appreso informazioni e aneddoti impossibili da reperire in altro modo, tanto meno sui libri, ad esempio del perché Jobim componesse utilizzando un certo tipo di accordi allo scopo di rimarcare e sottolineare la parola posta alla melodia, del perché la bossa nova sia poesia in musica e di come di conseguenza la parola sia fortemente connessa col materiale armonico e ritmico, oltre che melodico. Quando suonavo i brani di Jobim con Mario, appena modificavo qualcosa, lui mi spiegava che certi cambiamenti non andavano mai fatti nell'esposizione del tema, perché andavano ad alterare il climax connesso al significato della parola. Le libertà musicali vanno inserite nelle eventuali parti improvvisate o nelle variazioni, mai nell'esposizione del tema. Sono molto ortodossi i bossanovisti in questo. Jobim ormai è un musicista di culto, così come Piazzolla. Curiosamente, fuori dal Brasile, tutti suonano generalmente gli stessi brani, non più di una decina, nonostante il suo repertorio ne contenga centinaia. Del resto la musica è anche fatta per essere eseguita come ognuno ritiene opportuno, è una delle cose più democratiche che esistano.
La Spagna invece quando arriva?
Col mio trio Tango Tres esordimmo proprio suonando in Spagna, parliamo del 1997, andammo a Valencia a suonare al Palau de la Musica per il congresso mondiale del sassofono. Negli anni successivi è diventato il Paese dove mi reco più spesso, ad oggi circa trenta volte, collaborando anche con alcuni musicisti, spesso argentini o brasiliani residenti in Spagna, come Sandra Rehder e Federico Lechner.
La Spagna mi ha rivelato la diretta parentela tra la sua musica tradizionale e quella latinoamericana. Gli spagnoli riconoscono tutta la musica proveniente dalle loro ex colonie come loro e c'è un fondo di verità: i ritmi della loro musica popolare sono gli stessi della musica latinoamericana, solo suonati in modo differente o con altri strumenti. Il motivo risale al lungo periodo di dominazione araba dell'Andalusia; periodo di quasi otto secoli che durò fino agli inizi del 1492 (lo stesso anno della scoperta e dell'inizio della colonizzazione dell'America). Questa in Andalusia fu un'epoca di grande commistione, condivisione e scambio tra varie culture, anche se assai diverse tra loro, ma tutte presenti nel sud della Spagna: araba, cattolica, ebraica, gitana e dell'Africa nera. Tutte contribuirono negli anni successivi, mescolandosi in vario modo, a creare le forme musicali di quella che oggi è la tradizione musicale spagnola.
Ci sono artisti che ti hanno ispirato più di altri?
Tutti quando incominciamo a studiare abbiamo immediatamente dei riferimenti, ogni tanto scopriamo un musicista per noi nuovo, che magari diventa il nostro idolo. Per mie caratteristiche personali sono portato a demolire qualsiasi forma di idolatria, pur avendo anch'io i miei musicisti preferiti. Io tendo sempre a considerare sia le qualità artistiche che quelle umane del musicista. Per intenderci, con alcuni grandi artisti della storia, pur apprezzandone il valore musicale, non sarei mai uscito nemmeno a prendere un caffè. In ogni caso, dal punto di vista sassofonistico, per me il più determinante è stato John Coltrane, in particolar modo lo stile e il suono che ha nelle prime due fasi della sua carriera. La terza, quella “free”, pur apprezzandone il valore, è però un tipo di linguaggio a me estraneo. Non è l'unico sassofonista che prediligo, ma se devo sceglierne uno è assolutamente John Coltrane.
Altro personaggio che considero un gigante, sia come artista che come persona, è Duke Ellington: in generale è il musicista che prediligo e che ammiro più di ogni altro. Se fosse possibile tornare indietro nel tempo e poter scegliere con chi uscire a prendere un caffè, sicuramente mi piacerebbe far quattro chiacchiere con Ellington e Coltrane. Certo, l'artista è importante per quello che realizza nel suo ambito, poi pero c'è anche una persona dietro e a me piace apprezzare allo stesso modo anche quell'aspetto.
Venendo al presente, parliamo di Viaggiatori, il tuo ultimo disco in duo con Federico Lechner. C'è qualche brano con una storia particolare?
Tutti i miei brani raccontano una qualche storia di viaggi o luoghi visitati e nascono inevitabilmente da esperienze personali. Viaggiatori è edito dalle Edizioni Musicali Borgatti di Bologna, che è anche l'editore di tutte le mie musiche e il produttore delle mie incisioni dal 2011 in poi. Questo mio ultimo disco nello specifico è sicuramente autoreferenziale, io e Federico viviamo perennemente in viaggio, o per fare concerti o per altri motivi di lavoro. Io sono anche docente in conservatorio in Sicilia da ben venti anni e sono venticinque anni che viaggio tra Italia, Spagna e America. L'anno scorso sono stato a suonare per la prima volta anche in Africa, a Melilla, una delle due città spagnole nel continente africano, attorniata dai reticolati del confine col Marocco. Di fatto una città di mescolanza culturale totale negli usi e costumi della gente del posto, così come nella lingua abituale (si parla sia spagnolo che arabo) e nel cibo. Una buona parte dei cittadini residenti, ufficialmente tutti spagnoli, è in realtà di origine marocchina, anche molti di quelli che lavorano lì in realtà sono marocchini che ogni giorno attraversano il confine per lavorare in città. In questa particolare atmosfera ibrida dall'altra parte del Mediterraneo è nato uno dei miei brani del cd. Provate ad indovinare quale!
Così come le copertine di molti dei miei precedenti album, anche quella di Viaggiatori è una foto scattata da me, durante un tour in Argentina del 2009. Eravamo in un viaggio di trasferimento nell'altipiano della zona dei sette laghi, nella Patagonia argentina, in mezzo a una natura arida e spoglia ma stupefacente, luoghi totalmente disabitati. Nella foto si vede una strada che degrada e sembra finire in uno dei laghi, è una foto di luce e spazio, di viaggio e libertà, alla quale si possono attribuire mille significati, così come speriamo sia la nostra musica.
Ovviamente Viaggiatori non parla solo di me e Federico, ma ogni ascoltatore si può riconoscere in un qualche viaggio della sua vita, reale, virtuale o metafisico. Viaggiatori parla comunque al plurale, a tutti quelli che in qualche modo viaggiano, per lavoro, per necessità, per svago, e più in generale alle persone che si spostano o emigrano da qualche parte. La storia dell'uomo è fatta così.
Venendo al brano che dà il titolo all'album, accanto al titolo hai scritto “a Duke Ellington”. Ci racconti di questa dedica?
L'ho dedicato a Duke Ellington perché è uno dei musicisti che più ammiro. Anche lui ha viaggiato per buona parte della sua vita, diciamo che è una delle poche cose, forse l'unica, che ho in comune con lui [ride]. In realtà, il motivo della dedica è che ho preso spunto dai primi due accordi di una sua composizione, una delle mie preferite, per dare vita al mio brano, sviluppandolo ovviamente in ben altro stile, infatti è assolutamente irriconoscibile, si tratta solo di due accordi. Il brano è dedicato a Duke Ellington, ma lo stile e il ritmo sono in realtà un omaggio all'Africa.
Duke Ellington esce dalla scatola del passato e inevitabilmente arriva al presente.
Se ascoltate le incisioni degli anni Venti e Trenta il suono è l'emblema di quegli anni e della città dove artisticamente è nato e cresciuto: New York. Ma la musica di Ellington ha elementi compositivi e spunti che vengono da più parti, soprattutto dopo gli anni Quaranta. È un musicista che ha visitato con la sua musica tutti i cinque continenti e il suo messaggio musicale è sempre stato rivolto al futuro, mai al passato. Ho molta ammirazione e stima per Duke Ellington, ma ahimè non abbiamo niente in comune, non suono nemmeno il suo strumento.
Parlaci di Federico e del vostro modo di fare musica.
Federico Lechner è sicuramente l'artista con cui ora ho più affinità musicali. Suonare in duo dà uno spazio e una libertà incredibili se si è in sintonia. Poi abbiamo un modo di vivere la musica davvero simile, sebbene siamo due persone realmente diverse e con personalità ben distinte. Le nostre caratteristiche compositive sono differenti nell'uso del materiale musicale, ma sono complementari e si integrano molto bene. Non a caso è un progetto di musica in larghissima parte improvvisata.
Vista la quantità di versanti su cui ti muovi nella vasta area latinoamericana, il progetto con Federico in quale versante sta?
Il progetto con Federico è sicuramente un progetto jazz, come dicevo, di musica in larghissima parte improvvisata, ma per nulla legato agli stili nordamericani storici: il nostro è jazz latino. Le armonie che usiamo sono di tipo jazzistico, però non c'è nessun brano swing. Nel materiale melodico e ritmico c'è qualche richiamo al funk o al blues, ma le nostre influenze sono soprattutto latinoamericane e mediterranee, perciò è un progetto di jazz latino. Nel disco ogni brano ha un'influenza di qualche paese di quelle zone geografiche, ci sono brani che hanno influssi tangueri argentini, altri brasiliani o ispanici, c'è qualcosa di francese, ma anche qualcosa di africano e naturalmente di italiano. Ci sono le nostre vite, mia e di Federico.
Parliamo un po' del tuo strumento. Qual è per te il ruolo del sax nell'ambito del tango?
La storia iniziale del tango, la cosiddetta “Guardia Vieja”, non prevedeva una formazione specifica. Si utilizzavano gli strumenti più popolari perché erano quelli più abituali e che costavano meno. Quando attorno al 1910 il tango invece si storicizza ed inizia ad essere riconosciuto come un genere specifico, soprattutto dalla decade degli anni Venti in poi, incomincia a connotarsi una certa estetica anche nell'utilizzo degli strumenti. Il sax in quel periodo veniva assimilato ad altre musiche già esistenti: sia alla musica da ballo nordamericana che alle musiche bandistiche provenienti dall'Europa. Quindi nel nuovo tango argentino, il sax e i fiati in generale, non hanno praticamente trovato posto, vennero esclusi perché ricordavano già altre musiche. Solo nella fase di gestazione, appunto la cosiddetta “Guardia Vieja”, sono stati utilizzati flauti o clarinetti, nient'altro. Quando il tango è divenuto un genere autonomo e riconosciuto, con un suono e uno stile specifici, tutto quello che c'era prima è stato considerato vecchio e quindi abbandonato.
Ecco perché il sax non ha quindi un ruolo nel tango, anche se negli ultimi anni anche in Argentina qualche sporadico sax ogni tanto appare. Per gli argentini è difficile inserire certi strumenti che fanno parte di altre tradizioni musicali come il sax, ora poi simbolo internazionale del jazz.
Io ho pensato di inserire il sax soprano nel tango perché è uno strumento con caratteristiche del tutto particolari e ibride: mentre il contralto e il tenore hanno una loro connotazione molto forte in ambito jazzistico, il soprano no.
Realmente si plasma molto bene con alcuni degli strumenti tipici del tango, come il violino e la chitarra, e può sostituire l'icona del suono del tango che è il bandoneon.
Da qui arriviamo perciò al tuo gruppo Tango Tres.
Tango Tres è il mio progetto madre, creato insieme a Donato D'Antonio e Vittorio Veroli e rappresenta lo spartiacque tra una mia fase di vita passata e il presente. Il secondo disco che abbiamo realizzato è uscito nel 2017, in occasione dei vent'anni del trio. Tango Tres ripropone esattamente quella che poteva essere una formazione del periodo della Guardia Vieja, con la semplice sostituzione del clarinetto o del flauto da parte del sax soprano, come ho detto poco fa. Infatti, l'impasto timbrico funziona benissimo con violino e chitarra e ricorda il tipo di formazione che si usava a quei tempi. Questo mio progetto ha come altra caratteristica filologica il fatto di suonare tutti brani dei principali autori di quell'epoca. Per il resto va da sé che il nostro modo di suonare è assolutamente attuale: gli arrangiamenti sono totalmente scritti da me, ci sono parti improvvisate e l'utilizzo di certe caratteristiche armonico-melodiche non ha nulla a che fare col modo di suonare tango di fine Ottocento e inizio Novecento. Quindi la filologia sta solo nel repertorio proposto e nel formato orchestrale.
Sappiamo della tua recente passione per la corsa. Ha un legame con la musica?
Si, negli ultimi due anni mi è esplosa anche la passione la corsa e tra le tante gare ho partecipato già a sei maratone, una anche in Spagna. La cosa incredibile è che spesso, quando mi alleno in solitudine, penso alla musica che scrivo. Magari esco di casa per allenarmi e ho appena finito di scrivere un arrangiamento, così mentre corro mi canto mentalmente tutte le parti. A volte mi rendo conto anche di errori, altre volte mi nasce un'idea che non mi era venuta prima stando seduto al pianoforte. In questo caso, per non dimenticarla, me la canto lungo tutto il percorso e appena rientro a casa la scrivo ancora tutto sudato. La cosa incredibile è che la maggior parte dei brani composti negli ultimi due anni ho finito di elaborarli mentalmente mentre correvo. Del resto, quando si corre per molti chilometri in solitudine, si entra in una specie di meditazione, perdendosi dentro sé stessi.
Infine arriviamo al futuro. Su cosa stai lavorando?
Attualmente sto lavorando ad altre musiche. Il progetto nuovo che registrerò dopo la prossima estate è già quasi pronto, sarà un disco che registrerò insieme ai musicisti base del Grupo Candombe (l'altro mio progetto storico di musica latinoamericana). Di questa formazione fanno parte Massimo Mantovani al pianoforte, Tiziano Negrello al contrabbasso e gli altri due musicisti di Tango Tres, Vittorio Veroli al violino e Donato D'Antonio alla chitarra. Ovviamente me al sax soprano.
La caratteristica di questo mio nuovo lavoro musicale è che non avrà nulla a che fare con ciò che ho realizzato finora, sorprendentemente, dopo venticinque anni sarà il mio primo lavoro nel quale non ci sarà nessun riferimento al Sud America. In qualche modo sarà rivoluzionario. Tutte le composizioni (sette brani miei, nuovi, e altri tre di autori vari) hanno un qualche aggancio storico con un personaggio di molti secoli addietro: o con avvenimenti della sua vita o con personaggi che hanno vissuto attorno a lui.
I tre brani degli altri autori che ho scelto sono tutti di quel periodo, ma ovviamente riarrangiati totalmente. È un po' una sfida che mi sono imposto quasi per gioco e parte da un'altra delle mie passioni: la storia.
Mi è capitato di leggere un libro sulla vita di questo grande personaggio e da lì ho scoperto che molti degli eventi della sua vita sono accaduti in luoghi dove sono stato, compresa Faenza dove vivo. Ovviamente è un progetto musicale di totale fantasia, la musica che suoneremo ha un'impostazione in parte jazzistica e in parte cameristica, con strumenti che all'epoca nemmeno esistevano. Di sicuro sarà un progetto sorprendente per chi già mi conosce. Naturalmente ho già fatto ascoltare qualcosa ad alcuni dei musicisti che saranno coinvolti e sono rimasti tutti piuttosto sorpresi. Pur riconoscendo il mio stile compositivo rimane una musica inaspettata.
Ci dai qualche appuntamento?
Al momento Viaggiatori è stato presentato soltanto in Spagna e sto lavorando alla presentazione in Italia, che avverrà presumibilmente nell’autunno prossimo. Invece durante l'estate sarò in giro per concerti con Tango Tres e naturalmente terminerò la preparazione del nuovo progetto “segreto”.