ARITMIE episodio 1
Cosa fanno nel bel mezzo di Lisbona quindici musicisti delle più disparate provenienze artistiche pronti a mescolare jazz, funk, boogie woogie, idiomi classici e contemporanei, improvvisazione, assoli irriverenti e una buona dose di appetito esplorativo? Semplice: si servono delle infinite possibilità del pentagramma per dimostrare senza remore quanto musica e internazionalità siano non solo strettamente connesse, ma interdipendenti l’una dall’altra e fisiologicamente impossibili da scindere; ancor più nel terzo millennio, che vede frotte di musicisti vivere e lavorare in Paesi diversi dal proprio, servirsi di un’enorme varietà linguistica per comporre i testi, suonare strumenti fabbricati in ogni angolo del pianeta, sfruttare la potenza del web per ascoltare musica registrata in ogni angolo del pianeta e collaborare quotidianamente con musicisti provenienti da ogni angolo del pianeta.
Musica è coalizione, disponibilità, invenzione. Questo sembra voler porre sempre in primo piano la Lisbon Underground Music Ensemble, nata nel 2006 da un’idea del pianista e compositore Marco Barroso, che dirige il gruppo e ne cura il repertorio offrendo, con grande consapevolezza, risalto alla profonda matrice eclettica che governa l’ensemble e che contemporaneamente allaccia i musicisti gli uni agli altri e li libera dalla necessità di una comune provenienza scolastica e di repertorio. Succede così che, oltre al pianoforte del sopracitato Barroso, sullo stesso palco si ritrovino anche un flauto, un clarinetto, un quartetto di sassofoni (soprano, contralto, tenore e baritono), tre trombe e altrettanti tromboni, basso e batteria. Incredibilmente semplice, ecco la ricetta per dare vita a musica estrosa, talvolta ironica e perfettamente in grado di gestire le sinergie tra scrittura e improvvisazione. Alle orecchie giungono masse sonore che Barroso stratifica con abilità, lasciando che lo swing arrivi senza che si avverta la chiara predominanza di strutture jazzistiche, senza che richiami accademici sfocino in accademismi e senza permettere che la versatilità personale di ogni esecutore finisca con l’essere soggiogata alla rigidità delle note scritte.
Un esempio molto accattivante del tipo di energia che permea la Lisbon Underground Music Ensemble è il brano Freestyle Boogie, parte dell’album L.U.M.E., datato 2013. Su di una ritmica decisa e costantemente fomentata da un basso indiavolato, si assemblano legni e ottoni in un andamento che a più riprese richiama free jazz, musica contemporanea, il buon vecchio blues da intrattenimento che si suonava nei locali del sud degli Stati Uniti e, perché no, anche qualche riff rock dal sapore grunge, come nella musica di Pearl Jam e Soundgarden. Oltre a questo, alla pulizia e alla freschezza degli assoli fa da supporto un impianto timbrico potente ed equilibrato, in cui ogni componente è ben udibile ma è altrettanto ben inserito nel contesto, rendendolo compatto.
La quantità di elementi che compongono il quadro non possono che confermare la natura internazionale e, per certi aspetti, anche atemporale della musica, nonché il suo inevitabile avanzare negli anni conformandosi su aspetti che, prima di tutto e alla fine di ogni cosa, restano fortemente umani: musica è coalizione, disponibilità, invenzione.
C.