ARITMIE episodio 36
Che cos'è il jazz? Molte definizioni sono state date e molte altre ancora si potrebbero dare, ma in fin dei conti nessuna è stata né sarà mai abbastanza soddisfacente e non spiegherà fino in fondo questa parola misteriosa e le sue ambigue attitudini. I frammenti da cui elaborare e costruire una definizione tanto difficile albergano nella storia, così, un passo alla volta, camminando a ritroso tra cd, cassette, vinili e nastri vari, arriviamo a quando il jazz ancora non esisteva. Non abbiamo trovato nemmeno l'ombra di ciò che andavamo cercando, ma il tentativo è valso un viaggio bellissimo.
Jason Moran, pianista e comunicatore di grande sensibilità e preparazione, ci ha abituato fin dai suoi primi lavori ad ascoltare la musica proprio nell'ottica di questo viaggio: un sovrapporsi di vari strati traslucidi lascia intuire cosa ci sia al di sotto, o meglio, da quale parte del passato arrivi l'ispirazione per proiettarsi nel futuro, o, ancora più forte, nel presente. Nella musica di Moran è in atto una manovra di stratificazione della storia che serve, come una grande rincorsa, a poter saltare più lontano.
Dietro l'angolo di questo pianismo muscolare sembra sorridere beffardo Cecil Taylor, ma, se ci fermiamo a guardarla bene, la faccia di Cecil trasfigura in quella di Thelonious Monk e le linee oblique delle sue dita sembrano riapparire tra quelle di Jason. Qualche tasto più in là Duke Ellington in smoking ci invita a ballare ed un passo ancora alle sue spalle arriviamo dritti al disco di oggi: Fats Waller, la gioia della musica, dello swing e le onde folleggianti tra il bianco e il nero dei tasti di un vecchio pianoforte. All Rise: A Joyful Elegy For Fats Waller non è un album celebrativo in termini museali, bensì una esplosione festosa di puro divertimento.
All'interno del disco Jason Moran viaggia tra la musica del grande Fats rivestendo di colori contemporanei alcuni standard classici degli anni Venti e Trenta. Così la vecchia Ain't Misbehavin' diventa un brano neo soul, Lulu's Back in Town ammicca swingando agli stilemi dell'hip hop e Honeysuckle Rose li abbraccia in toto. In questo inseguirsi di suoni, di musicisti e di colori, Moran trova lo spazio per una riproposizione in piano solo del classico Handful Of Keys nel quale lo stratificarsi di influenze di cui sopra è coagulato dal pianista in una personale ed autentica dedica d'amore, tanto a Fats Waller quanto al jazz in generale. Violento, spigoloso, incazzato, tanto profondo quanto leggero, fragile ed innamorato, che il jazz non stia poi in una manciata di tasti? In una Handful Of Keys? Dove altrimenti? Ma poi, ci interessa davvero?
G.