ARITMIE episodio 24
And now we get to the hard part. The endings, the farewells and the famous last words.
E ora arriviamo alla parte più difficile. I finali, gli addii e le ultime parole famose. (Paul Auster – Moon Palace)
Blackstar, l'ultimo album di David Bowie, è un flusso di urgenze immortali che si scontrano con l'inevitabile caducità dell'essere umano. Bowie si libera dall'antico dualismo tra mortalità dell'uomo ed immortalità dell'arte ponendo sé stesso tanto profondamente dentro, quanto totalmente al di fuori del tempo; facendo della sua opera la sua fine e viceversa. L'atto creativo diventa un liberare sé stessi attraverso le vene vive della storia, senza avere nessuna pretesa di imbrigliarle o piegarle. Così ne esce un album stilisticamente caleidoscopico, costruito con quell'impronta trasformista e teatrale che Bowie più di tutti ha impersonato e domato facendone strumento primo di elaborazione del proprio presente indipendentemente dalle epoche.
La title track è esemplificativa degli andamenti del disco intero: ogni cosa è cangiante, la realtà è costruita per somma di contrari, i punti di ascolto cambiano e fini giochi di luce ridisegnano ogni evento sonoro. Così intanto che un groove di batteria svela sul basso la sua vena punk, il suond hip hop abbraccia qualche liquido accordo dissonante. Attorno alla propulsione ritmica, mai assente, il sassofono suona in maniera obliqua ricordando a tratti il vicinissimo Kamasi Whashington e a tratti il lontanissimo Albert Ayler. La musica e la memoria si intrecciano sfuggendo ad ogni possibile etichettatura, così non appena siamo in grado di riconoscere un andamento, l'impeto del successivo ce lo fa sfuggire. Nel magma scuro della luce notturna la voce di Bowie arriva accecante e lapidaria, si infila come un brivido lungo la schiena e ci fa sentire esattamente dove vorremmo essere.
Così è inevitabile cercare, trovare o sentir emergere spontaneamente le ombre del vecchio Duca Bianco, di Ziggy Stardust e ognuno del personaggio di Bowie che più ha amato. Qui però non c'è nessuna nostalgia, nessuna idolatria verso un passato glorioso da “dinosauri del rock” bensì un presente vivo e ben cosciente del suo inestinguibile evolvere.
È l'8 gennaio del 2016 quando esce l'ultima opera di David Bowie: un album acclamatissimo e visionario, nuovo e già storico che non ha mancato di far parlare immediatamente di sé e che resta indissolubilmente legato alla vita e alla morte del suo autore.
A volte si riesce a sopravvivere quel tanto che basta per riuscire a veder compiuti i propri piani. Così, come il personaggio Thomas Effing del romanzo Moon Palace di Paul Auster che si spegne il giorno esatto in cui lo aveva previsto, anche David Bowie ha fatto appena in tempo a veder pubblicato Blackstar nel giorno del suo compleanno per spegnersi solo due giorni dopo.
Addio David, grazie di tutto.
G.