ARITMIE episodio 27
Per quanto una buona fetta del fare musica trovi la propria essenza nella costruzione istantanea di momenti fini a se stessi, sarebbe comunque un errore lasciare in secondo piano la portata narrativa che la dimensione sonora mantiene pressoché in ogni contesto. Non è un caso che musicare poesie e racconti, abbinare alle immagini i suoni e cercare accostamenti che amplifichino le percezioni dell’orecchio siano pratiche molto antiche, se non addirittura istintive.
Senza nulla togliere alle soggettività e ai retroscena culturali, potremmo quindi dire che una certa attitudine sinestetica accompagni sempre la musica – o che la musica stessa sia, per definizione, una contaminazione di percezioni.
Detto ciò, va da sé che nell’album protagonista di oggi l’aspetto narrativo sia quello più rilevante: Lunaria, pubblicato nel 2016, è un breve racconto del contrabbassista veneziano Daniele Vianello, scritto e musicato per clarinetto, chitarra, contrabbasso e batteria.
L’attributo che affonda con maggiore rilevanza e che funge da perno per l’intero lavoro, è sicuramente la duttilità che Vianello è riuscito a inserire nel materiale sonoro, distribuendola con concretezza e senza mai manifestarla apertamente; come se la realizzazione dell’insieme non fosse altro che la naturale conseguenza di una versatilità in movimento; il frutto dei semi silenziosi sparsi in precedenza nella terra.
Succede allora che la continua convivenza degli ingredienti più disparati si traduca in una sostanziale mancanza di ingredienti nella ricetta di Lunaria, o meglio nella spontanea non-necessità di rivolgersi alla musica come fosse un grande puzzle con le tessere da riordinare. La dimensione descrittiva diviene al contempo quella dominante e quella in grado di lasciare alla fantasia pieno potere, dal momento che il non dover legare nessun aspetto compositivo a riferimenti che rischierebbero di essere vincolanti, si porta dietro il vantaggio impagabile del potersi rivolgere alla narrazione in maniera del tutto spregiudicata, conservando una scrupolosità che non avrebbe ragione di esistere se non al servizio del racconto.
Questo abitare dei suoni all’interno della narrazione dà vita a musica liquida, che lascia correre l’orecchio lungo frammenti e scanalature, senza mai frantumarsi sui cambi di tempo e di ruolo con cui vengono fatti giocare gli strumenti. In particolare, in Revelation è bello notare come i singoli timbri siano solo apparentemente incastonati in funzioni predefinite: sono micropulsazioni a dare forma all’intreccio, aumentando lo spazio di manovra delle singole parti senza intaccare la struttura portante. Linee sottili; quanto basta a fare di Lunaria non un racconto musicato, ma musica che racconta.
C.