ARITMIE episodio 18
Ogni artista, da tempo immemore, prima o poi si trova a dover affrontare l'ardua sfida di vivere il suo presente confrontandosi con la grande tradizione del passato. Quando uno si trova faccia a faccia con uno strumento come il sax tenore deve inevitabilmente fare i conti col fatto che, tra le mani di Lester Young, Sonny Rollins, John Coltrane, Joe Henderson, Dave Liebman, George Garzone, Michael Brecker e migliaia di altri, proprio quello strumento, ha delineato la grande storia del jazz e della musica del Novecento. Non verrebbe già voglia di darsela a gambe?
Per fortuna con Chris Potter siamo di fronte a specifiche caratteristiche di personalità che lo levano dall'impiccio di cui sopra ponendolo proprio in fondo (solo per questioni cronologiche) a quella lista di nomi: padronanza assoluta del mezzo e del linguaggio, apertura mentale e una sana dose di pura e sconsiderata ingenuità. Rispetto ad una folta schiera di sassofonisti suoi contemporanei, Potter si distingue per una maniera travolgente e quasi ossessiva di sviluppare le idee messe in gioco che ricorda, nell'intento e nel risultato, un mix super bilanciato degli anni Sessanta di Rollins e Coltrane e che riesce a tenerci aggrappati dalla prima all'ultima nota in un flusso travolgente senza che ci sia tempo per chiedersi cosa stia succedendo. Così l'ultimo album esce come un incastro perfetto della grande tradizione, dal bop al cool jazz, passando per i sopracitati Garzone e Brecker, solidamente appoggiato sul background del funk e della fusion, ma senza dimenticare la militanza nella musica contemporanea europea, il free jazz e la complessa onda dell'attualità più viva: hip hop ed elettronica su tutte.
Circuits è un microcosmo ipertestuale che un algoritmo di compressione perfettamente programmato ha ridotto in nove tracce. In ogni istante la musica (e il brano di oggi, Hold It, è un esempio lampante) nasconde dei link e dei pop up verso tutti i rimandi che siamo pronti a raccogliere. Come se su un computer riguardassimo in sequenza casuale le foto dei viaggi di una vita: dal cemento newyorkese alla sabbia del Cairo, dalle gelide acque del Baltico alle collane di fiori dei Caraibi. I musicisti ci incatenano a loro costruendo i collegamenti e le connessioni: la batteria di Eric Harland si sbriciola tra lo spettro delle frequenze ed è inglobata sgomitante dai guizzi del piano di James Francies. Il groove si delinea liquido e flessibile e funge da binario per quel treno dirompente che è il sassofono. Chris si muove agile in un assolo intervallare, funkeggiante, lirico, propulsivo e virtuoso, che, senza paura di accarezzare costruzioni idiomatiche o informali, resta sempre diretto e vitale.
Hold It (trattienilo).. se ci riesci.
G.