ARITMIE episodio 21
Ci sono voci talmente legate al luogo da cui provengono che non sembrano nemmeno appartenere a loro stesse; condensano al loro interno i popoli, la storia, la natura e le stagioni, rendendosi espressione del sentire collettivo e delle sue sofferenze. Non è quindi un’esagerazione identificare con la terra stessa la musica che esce dalle sue viscere, come non lo è trattare gli esecutori come i custodi del correre e dell’estinguersi del tempo. E questo è stata Cesária Évora per tutta la vita: custode del popolo di M indelo ed esecutrice della sua storia, spalmata tra l’amore per il mare e quell’ostinazione alla sopravvivenza che da millenni l’Africa conosce fin troppo bene.
Nata povera, avrebbe chiuso la propria esistenza nel dimenticatoio insieme a tutte le altre, se solo non fosse stata accompagnata da una voce unica e da un’estrema sensibilità per le strofe della tradizione e per la musica delle strade; la sola che Cesária conoscesse. Musica figlia di una terra lontana da tutto, di vite ai margini e di viaggi oltreoceano, in cui la nostalgia e l’intimità sono i sentimenti più presenti, rannicchiati in fondo al cuore insieme alle risposte che si vorrebbero ricevere dai giorni che verranno. Cavaquinho, fisarmonica, chitarra, clarinetto, violino e pianoforte sono gli strumenti che più di tutti accompagnano i canti, nei quali l’influenza della tradizione cubana è quella che si fa sentire maggiormente, insieme agli umori del fado e a qualche richiamo di Brasile e Senegal, impastati insieme in una malinconica rassegnazione che potrebbe ricordare il blues e i canti delle grandi deportazioni verso l’America.
Sui versi, Cesária riesce a muoversi morbida e leggera, trattandoli come scintille di vita vissuta ed epurandoli fino a renderli ancora più profondi e incantevoli. Non stupiscono, infatti, le attenzioni che riuscì a guadagnarsi da parte di musicisti e compositori intenzionati a scrivere del materiale apposta per lei; eppure, la svolta decisiva per la sua carriera arrivò solamente nel 1988, quando era ormai sulla soglia dei cinquant’anni: dopo un decennio di violenti stravolgimenti politici che avevano lasciato le casse dello stato vuote e incapaci di occuparsi della vita musicale, il produttore José Da Silva le telefonò, proponendole di registrare un album a Parigi. Così nacque La diva aux pieds nus e così Cesária poté finalmente rompere il silenzio che stava mantenendo dal 1975. «Ho ricominciato a cantare davvero, pensando che in questo Paese potevamo cantare molto e bene, pur restando sullo stesso palco: mal pagato. Ciò che mi rasserena oggi è la felicità di aver attraversato tutta la sofferenza possibile, per riuscire a vivere meglio.»
Con una rapidità incredibile, passando da Madonna a David Byrne e da Branford Marsalis a Goran Bregović, la sua voce e quella del suo popolo arrivarono alle orecchie delle più importanti personalità artistiche e culturali, incarnando secoli di resistenza e di orgoglio intramontabile. Il suo salire scalza sui palcoscenici più prestigiosi del mondo come diva-antidiva resta ancora oggi una doccia gelata sulla testa di un Occidente costruito sulla prevaricazione e sulle disuguaglianze: cantare è un atto di coraggio, è il riscatto verso quell’idea di Africa innocente e piacevolmente esotica sui cui la fazione bionda del mondo ha sempre tanto amato sedersi.
Nel 2013, poco dopo un anno dalla sua morte, è uscito Mãe Carinhosa, un album in cui la vecchiaia sbircia timidamente da dietro una colonna e alla malinconia si accompagnano i sentimenti del passato, messi in fila come pedine sulla scacchiera. Attraverso ogni respiro passa la polvere dell’isola; controversa, abbandonata, impaurita. Ed è la stessa polvere che abita la voce, a cui possono bastare dos palavras per allontanare la solitudine e dimenticare tutto il resto. Solo due parole; forse le più antiche, certamente le più belle.
Los poetas hablan de mil cosas,
de noches azules, de estrellas y gozos.
Pero yo desde luego prefiero
que me des un beso
y me digas te quiero.
Y de todas las palabras del mundo
esas dos palabras son mis preferidas.
I poeti parlano di mille cose,
di notti azzurre, di stelle e di gioie.
Ma io di certo preferisco
che tu mi dia un bacio
e mi dica che mi ami.
E di tutte le parole del mondo
quelle due parole sono le mie preferite.
C.